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sabato 19 marzo 2011

L'ITALIA



- UN DOVUTO RINGRAZIAMENTO A LIBERO-NEWS PER QUESTO ARTICOLO -

150° Italia, la casta dei politici ignoranti che riescono a vivere a loro insaputa....
Nichi Vendola ha votato per riaprire le vecchie scassate e insicure centrali nucleari di Trino Vercellese e Corso, ma l’ha fatto a sua insaputa. Lui, come decine di altri deputati di sinistra e di destra, non aveva nemmeno letto l’ordine del giorno sul nucleare che il 30 luglio 2004 fu votato alla Camera. Siccome il governo aveva detto di no, e il governo era guidato da Silvio Berlusconi, l’opposizione ha detto sì. Ed è diventata nuclearista a sua insaputa.

Accade spesso, ormai. Grazie al formidabile servizio de Le Iene abbiamo assistito a un altro evento unico e clamoroso. Da mesi le sorti dell’esecutivo e della legislatura erano appese alla necessità di avere comunque un governo in carica il 17 marzo 2011, perché Giorgio Napolitano così pretendeva per dare il via alle celebrazioni del 150° anno dell’unità di Italia. Per settimane maggioranza, opposizione e perfino forze sociali si sono accapigliate sulla introduzione della festività infrasettimanale, che naturalmente qualche problema ha causato alle imprese proprio in un anno in cui si sventolava la bandiera della produttività. Da giorni gran parte del parlamento, e quasi tutta la stampa, si è dedicata a linciare i distinguo leghisti, scandalizzandosi per chi il 17 marzo non desiderava festeggiare. E finalmente giovedì festa è stata. Un’overdose di festa, che ha inondato più di uno tsunami ogni città, ogni palazzo della politica, qualsiasi trasmissione televisiva, perfino l’apertura di ogni telegiornale, spazzando via appunto come un maremoto il dramma del Giappone, la crisi della Libia e ogni altra notizia. Bene, grazie alle Iene è stato evidente a tutti che il 17 marzo gran parte della classe politica italiana ha festeggiato a sua insaputa. Nel senso che non aveva la minima idea di cosa si dovesse festeggiare in quella data.

Per il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, il 17 marzo si sarebbe festeggiato l’inizio delle cinque giornate di Milano (che per altro iniziarono il 18 marzo, ma del 1848, quindi 163 anni fa). Per il vicepresidente della Camera dei deputati, Rosy Bindi, il 17 marzo è stato scelto perché è la data in cui Roma divenne capitale (accadde nel 1871, e quindi sarebbero 140 anni). Per Fabio Mussi, amico del cuore di Massimo D’Alema, non c’è un motivo per cui si festeggi il 17 marzo: «non lo so… è una data…». Per Carlo Barbaro, finiano di ferro, ultranazionalista «cosa accadde il 17 marzo di 150 anni fa? Di preciso non glielo so dire… La breccia di Porta Pia non credo.. O forse sì, proprio la breccia di Porta Pia». Un intellettuale di sinistra come l’ex presidente delle Acli, Luigi Bobba, è sembrato sgomento di fronte alla domanda:«Il 17 marzo? Non me lo ricordo. Il primo re di Italia? Sì, Umberto I». Da gran democristiano prova a cavarsela l’ex deputato dell’Udc, Vincenzo Alaimo: «Il 17 marzo? Non lo ricordo, però per averlo scelto vuole dire che è successo qualcosa di importante». L’intervistatrice prova a confonderlo con la risposta che in tanti danno: «La Breccia di Porta Pia? Ma quella è stata nel Novecento… L’anno preciso? Dunque nel ’46 c’è stata la Liberazione… forse nel ’45, nel ’44…».

Naufragio totale. Risponde da perfetto peone Franco Cardiello, Pdl: «Il 17 marzo? Non è successo nulla. Evidentemente quella della data è una scelta condivisa». Come dire: a noi peones le decisioni passano sempre sulla testa. Si vede che la sinistra voleva festeggiare il 19, la destra voleva festeggiare il 15 e alla fine hanno condiviso la scelta del 17. Non solo fine storico, ma anche gran matematico Vincenzo D’Anna, deputato che è andato a infoltire le fila dei Reponsabili: «Si festeggia l’Unità di Italia, che è stata realizzata nel 1860, quando è stata liberata Roma con l’impresa di Porta Pia. Come? Sono passati 151 anni dal 1860? No, perché il 1860 non si conta. Si inizia a contare dall’anno successivo». Nel suo gruppo parlamentare neonato deve esserci confusione. Perché anche il collega “responsabile” Vincenzo Taddei sostiene che sono passati 150 anni da quel 17 marzo 1860 in cui si fece l’unità. E chi la fece? «Vittorio Emanuele III».

L’elenco di castronerie potrebbe continuare a lungo, e in più di un deputato si arricchisce della certezza su Garibaldi: «fu soprannominato eroe dei due mondi perché fu eroe per il Regno delle due Sicilie e per il resto di Italia». Il servizio integrale è disponibile sul sito internet dNiudiare la storia politica del suo paese è il minimo che si dovrebbe chiedere: non hanno molto altro da conoscere. Ma che nessuno si sia chiesto perché darsi botte da orbi fra pro e contro quella festa del 17 marzo, è davvero lo specchio più genuino di cosa sia oggi la classe politica italiana. Senza bisogno di prendere fra le mani un libro di storia, il perché di quella festa è scritto nel decreto legge del governo che la istituisce. Testo che viene esaminato in commissione, perfino emendato, votato dall’aula dei due rami del Parlamento senza che nessuno naturalmente si sia curato di leggerne una riga. Così come sul nucleare tutti ancora una volta votano e voteranno a loro insaputa. Ormai è diventato questo lo slogan della attività politica. E si comprende perché dopo essere stato lapidato per avere ammesso che qualcuno gli pagò la casa a Roma a sua insaputa il povero Claudio Scajola ora pretenda una rapida riabilitazione. Ne ha pieno diritto, in fondo è solo uno dei tanti eletti insaputelli…

di Franco Bechis

giovedì 17 marzo 2011

UNITA'


Oggi si festeggia il 150° dell'unità d'Italia.

MA QUAL'E' IL MOTIVO DELLA FESTA?

E' da qui che partiamo per esaminare il significato della giornata di oggi.
Tralasciamo per un attimo le feste di ieri sera, le manifestazioni pacchiane di oggi e tutti quei discorsi pieni di volatilità che sicuramente verrano fatti. Tralasciamo per un attimo anche le differenze di cultura comunque vastissime e che sicuramente incidono nel modo di fare "stato".
Guardiamo invece perché queste celebrazioni sono considerate degne di una festa. Si da per scontato che l'unione delle due Italie sia stata una cosa indubbiamente giusta, come se l'evento abbia scaturito una sorta di effetto generalmente positivo e utile a chiunque faccia parte della nuova nazione.

Ma cosa vuol dire veramente "unire un paese"?
Unire significa prendere più di un oggetto e metterlo insieme ad altri per formare qualcosa di unico.
Nel nostro caso, l'unione ha come scopo principale quello di creare un'unica nazione, all'interno della quale tutti gli abitanti hanno uguali diritti ed uguali poteri, uguali limitazioni e uguali possibilità.
Ed ecco quello che dovrebbe essere il risultato finale: UNA NAZIONE DOVE BENESSERE, ECONOMIA E DIRITTI SOCIALI SONO UGUALI IN QUALSIASI PUNTO CI SI TROVA.

Arriviamo ai festeggiamenti, si presuppone che questa unione sia andata a buon fine (altrimenti perché fare festa), si presuppone quindi che da Bolzano a Agrigento ogni persona abbia lo stesso trattamento e lo stesso rispetto verso la nazione che lo ospita.
La diatriba nasce proprio da questo presupposto. Nessuno nega che l'Italia sia unita, quello che si mette in discussione è se effettivamente tutti i cittadini sono "cittadini" allo stesso modo.

E qui arriviamo alla fatidica domanda. Siamo tutti Italiani allo stesso modo? L'unione di più territori in unica nazione è andata a buon fine?

Sarebbe giusto che ogni persona facesse una piccola indagine fuori e dentro il proprio orticello, con lo scopo di dare una risposta sincera alla domanda - MI SENTO ITALIANO COME TUTTI GLI ALTRI?

Paolo